Con la presente denominazione furono chiamate nel tempo innumerevoli imbarcazioni (derivate dall'inglesina) con caratteristiche tecniche simili, ma differenti tra loro per dimensioni, finiture e allestimenti interni. Si andava dalla lancetta a vogatore singolo, ancora oggi in uso sul lago, alla grande lancia a tre rematori con o senza il passeggero, fino a quella con quattro panche di voga (a volte denominata scialuppa a quattro rematori). METODO COSTRUTTIVO
Le barche a remi tradizionali del Lario sono fatte rigorosamente ad occhio e col sistema a guscio, in altre parole facendo prima il fasciame e mettendo poi la struttura. La struttura viene applicata in un secondo momento perché altrimenti questa richiederebbe uno studio preliminare teorico della forma dello scafo. Il costruttore, invece, col metodo tradizionale poteva vedere nascere la forma ed eventualmente andare a correggere gli andamenti che riteneva sbagliati. Per la costruzione si procedeva partendo dal fondo; per definirla il costruttore si poneva ad una certa distanza dalla poppa dell'imbarcazione e stabiliva l'inselidüra in altre parole la curvatura longitudinale, che è in relazione alla curvatura dei fianchi e, quindi, con la rotondità dello scafo e da questo, con ottimo senso delle proporzioni, si stabilivano lunghezza e larghezza della barca finita. Questo era quindi l'approccio per la definizione delle dimensioni delle imbarcazioni tradizionali, cioè quelle con fasciame a "paro" o a "caravella". L’approccio non cambia nemmeno con l'avvento delle imbarcazioni a fasciame sovrapposto. Il costruttore, in questo caso, dopo aver realizzato lo specchio di poppa, si poneva dietro ad esso e, guardando verso la prua, definiva la linea di quella che sarebbe stata poi l'Imbarcazione finita con una capacità tipica degli scultori. Una volta estratte dall'acqua, le tavole diventavano malleabili e venivano forzate sui modelli ancorati alla chiglia verso la forma desiderata. A terra, intanto, si faceva una striscia di segatura alla quale veniva poi appiccato fuoco. Le tavole venivano passate, curvate, sulla striscia ad una certa distanza e venivano levate ai primi scricchiolii. Finita la posa del fasciame si andavano a posizionare le ordinate (sgorbie) nella posizione e nel numero adeguato. Anche per la curvatura delle sgorbie vi erano più tecniche. Una di queste consisteva nel metterle a bagno in un cilindro metallico e poi fatte bollire. Una volta estratte le si curvava e si posizionavano direttamente nello scafo e inchiodate. In un'altra tecnica si utilizzava il vapore. Le sgorbie venivano ordinatamente riposte dentro ad una cassa di legno, collegata con un tubo al cilindro metallico. Il vapore dell'acqua in ebollizione passava attraverso il tubo di collegamento .e veniva convogliato all'interno della cassa, e quindi sulle sgorbie. Questo metodo era più graduale e meno traumatico per le tavole che, pur essendo malleabili, perdevano meno in elasticità. Ultima evoluzione di questa tecnica fu quella di preparare delle dime dove forzare le sgorbie trattate. Le sgorbie venivano poste in queste dime e lasciate raffreddare, poi venivano estratte, verniciate e solo successivamente poste nello scafo. Questa ulteriore operazione permetteva di verniciare le sgorbie con più mani di vernice e su entrambe le facce. Precedentemente le sgorbie venivano verniciate all'interno dello scafo con notevoli difficoltà e la parte sottostante rimaneva grezza e quindi meno resistente all'attacco degli agenti atmosferici. Una volta collocate anche le ordinate, lo scafo era pronto per le finiture. IL LAVORO DI RESTAURO Il lavoro di restauro della lancia da passeggio è stato lungo e duro. Ci sono volute 150 ore per far tornare all’antico splendore questa imbarcazione che quando è arrivata al cantiere del C.V.A. si presentava in condizione pietose. La passione e l’olio di gomito l’hanno fatta tornare agli antichi fasti.
Giovanni e Paolo hanno innanzitutto provveduto a sverniciare internamente ed esternamente lo scafo, con vari metodi: con il phon e le spatole (riscaldando la vernice questa viene via più facilmente), con lo sverniciatore, l’acido ossalico e la soda caustica. La parte interna dello scafo, a causa delle superfici non lineari come quelle esterne, ha richiesto molto tempo per poter asportare le tre mani di vecchia vernice che impregnavano il legno.
I pezzi interni dello scafo, panche, portascalmi, madieri, serrette, braccioli, sono stati smontati per essere opportunamente lavorati. Le ordinate rotte sono state sostituite con ordinate nuove in legno d’acero. La loro piegatura è stata ottenuta con l’ausilio del vapore: le assi nuove sono state lasciate per una notte a mollo in acqua; poi si è proceduto a bagnarle con il vapore in un’apposita cassa. Fatto ciò sono state montate direttamente sullo scafo, affinché potessero subito assumere la forma desiderata. Hanno poi provveduto a risanare le parti marce sul dritto di prora e sul dritto di poppa stuccando e impregnando con resina epossilica la parte da ricondizionare, carteggiando il materiale in eccesso. Le assi del fondo (in gergo “paglioli”) sono state ricostruite in larice. E’ possibile così notare lo stacco cromatico del legno vuoto, con tonalità chiara, da quello stagionato, color “terra di Siena”. Il grosso del lavoro a quel punto era stato fatto. Mancava solo la carteggiatura finale, per rendere uniforme la superficie lavorata, e la pulizia del fasciame e dei particolari dai residui di lavorazione. Così sono arrivati alla fase finale, cioè la verniciatura: quattro mani di coppale (flating) per restituirle lo smalto di un tempo. Ora è pronta per solcare di nuovo le acque.
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